Villa Amendola è una dimora borghese costruita nella seconda metà del XVIII secolo per volere di Domenico Pelosi, amministratore della città di Avellino e ricco proprietario terriero. Durante il periodo napoleonico, all’indomani dell’8 agosto 1806, quando Avellino verrà elevata a capoluogo di provincia, la villa diviene dimora di un giovane Capitano della guardia reale napoleonica, Luigi Horto che vi si trasferisce dopo avere sposato Aurelia Pelosi, figlia del proprietario. In questo periodo frequentatori della villa, ospiti del Capitano Horto e di sua moglie Aurelia, sono il colonnello Léopold Sigisbert Hugo, padre dello scrittore Victor, il primo Intendente di Avellino Capoluogo di Provincia, Giacomo Mazas, e il notaio e patriota Giacinto Greco.
Ma sarà soltanto negli anni ’30 del XX secolo che la residenza raggiungerà tutto il suo splendore grazie alla figura poliedrica e carismatica di Francesco Amendola, figlio di Francesca Federici che, in seconde nozze, aveva sposato Gennaro Farini, discendente dell’originario proprietario della villa Domenico Pelosi. Sindaco di Avellino dal 1947 al 1952, Francesco Amendola ribattezzò la dimora, per l’appunto, “Villa Amendola” e ne fece un vero e proprio cenacolo culturale per i maggiori intellettuali irpini del tempo: tra i suoi assidui frequentatori ricordiamo il filosofo Benedetto Croce, il commediografo Roberto Bracco, il meridionalista Guido Dorso, l’avvocato Alfonso Carpentieri e gli storici Vincenzo Cannaviello, Francesco Scandone e Salvatore Pescatori.
Il complesso, acquisito nel 2003 dai beni dell’Amministrazione Comunale, dal 2014 è sede del Museo Civico di Avellino.
Le Grotte di Villa Amendola sono parte integrante dell’impianto originario della maestosa struttura settecentesca. Tuttavia, secondo alcuni storici, per le cavità sotterranee non è da escludere una datazione di molto precedente rispetto all’edificazione della Villa stessa e dell’annesso parco e quindi connessa all’assetto sotterraneo del centro storico.
Ad ogni modo, ciò che è noto è che furono adibite prima alla conservazione delle derrate alimentari e poi furono usate come riparo – sia dalla famiglia Amendola che dalla popolazione avellinese – durante il violento bombardamento aereo che interessò la città di Avellino il 14 settembre del 1943.