Avellino Sotterranea
Un viaggio al centro della Collina della Terra, un percorso suggestivo tra camminamenti, cunicoli, cripte ed ipogei che compongono un labirinto straordinario che si estende nelle viscere del Centro storico
La partenza è fissata dalla Cripta romanica di via Sette dolori collegata alla Chiesa cattedrale di Avellino per proseguire alla Cripta di San Biagio in piazza Duomo, i cunicoli longobardi, l’Ipogeo di Casina del Principe e le Grotte di Villa Amendola
PERCORSO N.4: Avellino Sotterranea
Esiste un’altra città rispetto a quella che tutti conoscono. Si sviluppa attraverso un dedalo di percorsi, camminamenti, cunicoli, grotte, cripte ed ipogei. É la città sotterranea di Avellino, un luogo suggestivo nascosto nel ventre della Collina della Terra.
In questo straordinario labirinto collegato in più punti con la città emersa, riposano i fantasmi di una storia millenaria che parte dai Longobardi e arriva fino ai giorni nostri e si dipana nelle viscere del Centro storico.
Dal Casino del Principe con il suo ipogeo a piazza Duomo con le sue due cripte di via Sette Dolori e di San Biagio, dai Cunicoli Longobardi sotto la Torre dell’Orologio fino alle grotte settecentesche di Villa Amendola. Ecco Avellino Sotterranea, una città da svelare.
IL CASINO DEL PRINCIPE
Il Casino del Principe, situato ai piedi della Collina della Terra, lungo corso Umberto I, asse storico della città di Avellino verso est, è una delle architetture che meglio testimonia la presenza e l’influenza dei principi Caracciolo nel capoluogo. Risalente con buona probabilità alla fine del Cinquecento, fu realizzato per volontà del principe Camillo Caracciolo come punto d’accesso a un sontuoso parco retrostante, quello che oggi è il quartiere di Rione Parco, che, ricco di alberi, piante e fiori esotici, era il luogo ideale per la caccia e lo svago della nobiltà napoletana ormai insediatasi ad Avellino.
Successivamente, l’edificio fu riconvertita in taverna e foresteria per i viaggiatori provenienti da Napoli e diretti verso la Puglia. Oggi il Casino è strutturato su due livelli, con una corte interna a pianta quadrata e aperture laterali che conducono al piano superiore. In posizione prospettica rispetto al portale principale, è collocata una fonte abbeveratoio che si eleva su un basamento in pietra lavica e che, anticamente, era posizionata all’esterno della struttura.
Nel cuore del Casino sorge la sala ipogeo, una piscina-teatro sotterranea che serviva ai Caracciolo sia come luogo di fuga (addirittura collegato con i cunicoli longobardi) sia come sala di piacere e di ristoro dopo le sedute di caccia. La sala era dotata di un sistema idraulico all’avanguardia ricavato da una preesistente cisterna di un acquedotto romano. L’essenziale impianto tufaceo, oggi come allora, si contrappone agli elementi decorativi emergenti come la fontana a parete, il cui incavo absidale accoglie due figure statuarie, una maschile ed una femminile. Inoltre gli stucchi del soffitto con motivi di spugne e conchiglie ricordano quelli della cripta del Duomo.
Ecco una descrizione dello storico del XVII secolo Scipione Bellabona: “… magnificò (il principe Camillo) questa città: vi fè lo barco per la caccia dei cervi e altri animali, e un giardino artificiosamente lavorato, abbondante di acque, fatte venire per acquedotti da diverse lontane parti, ove di diverse maniere compartite si veggon varie fontane, che con belli ed ingegnosi artificij mandano fuori continuamente acque copiosissime, non senza diletto e meraviglia insieme di chi le mira e vagheggia…”
Risalente al VI secolo d.C. la cripta del Duomo di Avellino, conosciuta anche con il nome di Cripta della Madonna dei Sette Dolori, è una perla in stile romanico che si sviluppa nel sottosuolo della città. Suddivisa in tre navate, scandite da 14 colonne di pietra tutte diverse tra loro (i capitelli sono pezzi di spoglio provenienti da edifici paleocristiani), secondo alcuni storici era originariamente la cattedrale della “Civitas Abellini Longobarda”. Qui il 27 settembre del 1130 l’Antipapa Anacleto II incoronò solennemente Ruggiero d’Altavilla re di Napoli, di Sicilia e di Calabria e duca di Puglia. In essa riposano le salme di alcuni dei più importanti vescovi di Avellino.
In un vano ipogeo scavato nel tufo, a cui si accede attraverso una scala a chiocciola, si possono visitare i caratteristici sedili scolatoi che servivano come luogo di sepoltura dei confratelli della Madonna dei Sette Dolori, realizzati anche grazie all’intervento della principessa Antonia Spinola, come ricorda una lapide del 1714. In tale occasione fu aperto un accesso sullastrada che da quel momento venne ribattezzata via dei Sette dolori. Il settecentesco soffitto con decorazioni a stucco e dipinti raffiguranti la vita di San Modestino è, invece, opera del pittore Michele Ricciardi.
LA CHIESA E LA CRIPTA DI SAN BIAGIO
Poco lontano da via Sette dolori sorge un’altro luogo di culto della città di Avellino. Si tratta della Cripta di San Biagio, dove nel suo ipogeo si sotterravano i defunti con il sistema dello scolatoio, adottato fino all’editto di Saint Cloud del 1804, secondo cui la tumulazione doveva avvenire fuori dalle mura cittadine.
L’edificio religioso posto tra la “Casa Canonica della Cattedrale” e il Palazzo Amoretti in piazza Duomo è noto agli avellinesi come Chiesa di San Biagio. Fu costruita nel 1780 su progetto dell’architetto Oronzo De Conciliis per ospitare la Confraternita dell’Immacolata Concezione, precedentemente ospitata nella chiesa di San Francesco a piazza Libertà.
Al suo interno conserva numerose opere di indubbio valore storico-artistico: un gruppo statuario raffigurante la Madonna del Carmine con Bambino del XVII secolo, proveniente dall’antica Chiesa del “Carminiello” (un tempo sita in Via Nappi, poi abbattuta negli anni ’60 del secolo scorso) e le tele raffiguranti, rispettivamente San Gennaro e San Modestino, attribuite al pittore Francesco Solimena.
Intorno agli anni ’70 del XX secolo, in occasione dei lavori di restauro della chiesa, venne scoperto, sotto il pavimento dell’Oratorio, un vano utilizzato in passato quale luogo di sepoltura, noto come “Cripta di San Biagio”. La sua parte più antica e profonda è di epoca longobarda mentre in quella settecentesca, sicuramente coeva alla costruzione della chiesa, sono situate le cosiddette sepolture a scolo: i cadaveri venivano posizionati seduti sugli scanni a decomporsi mentre i liquami organici convogliavano in un foro sottostante. Al centro della stanza troviamo un piccolo altarino costituito da un capitello romanico in pietra caratterizzato da decorazioni floreali.
Questa struttura sotterranea, avendo un’apertura dall’esterno, è stata utilizzata nel tempo anche a scopi civili, ad esempio come rifugio durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Un utilizzo miliare e difensivo che accomuna l’ipogeo di San Biagio con quel dedalo di gallerie e camminamenti sotterranei cui si accede dal basamento della Torre dell’Orologio e che prendono il nome di “Cunicoli Longobardi” probabilmente collegati alla stessa Cripta di piazza Duomo.
Nel centro storico di Avellino, sotto case, edifici religiosi, piazze, vicoli e strade si dirama un dedalo di ampie gallerie create nei secoli per estrarre pietre e materiali da costruzione. In particolare, nella parte del nucleo antico della Collina della Terra è rintracciabile un sistema ipogeo di camminamenti scavati nel banco tufaceo che in superficie collega metaforicamente i simboli maggiormente identitari della città: dalla Dogana di piazza Amendola, un tempo piazza Centrale, a Piazza della Libertà, dalla Torre dell’Orologio fino alla fontana di Bellerofonte, con diramazioni verso il Duomo e il Castello longobardo che sorge ai piedi della Collina.
I “Cunicoli Longobardi” ci raccontano di una città medievale che cerca di difendersi dagli attacchi esterni e mira a rafforzare i punti chiave del suo assetto urbano. Questi avevano, infatti, l’importante funzione strategica di porre in diretto collegamento l’area de La Terra con la cerchia muraria fiancheggiante la Porta Maggiore, assicurando in tal modo il rapido afflusso di rinforzi a difesa della Rocca dell’antica Avellino Longobarda ed altresì una sicura via di ritirata in caso di sconfitta.
Era essenziale, quindi, che questi camminamenti fossero dotati in alcuni punti di un sistema di scale, non solo intagliate a gradoni nella roccia ma anche ad essa semplicemente addossate, di materiale artificiale e ligneo. Nella parte terminale, il sistema di gallerie sotterranee sbucava in una rampa, dalla quale, superando un dislivello di circa 11 metri, si raggiungeva rapidamente l’interno della città.
Non stupisce, quindi, che i Cunicoli Longobardi siano stati utilizzati nel corso della storia cittadina per fronteggiare situazioni di alto rischio: nel 1656, a seguito dell’epidemia di peste che colpì la città, il principe Francesco Marino Caracciolo dispose che i malati terminali fossero condotti nei camminamenti sotterranei affinché si potesse contenere il diffondersi del morbo. Infine, gli ultimi testimoni diretti dei bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale narrano di corridoi sotterranei utilizzati come rifugi per scampare a quei tragici momenti che segnarono la vita avellinese del settembre 1943.
VILLA AMENDOLA E LE SUE GROTTE
Allontanandoci dalla Collina della Terra e dal centro storico proseguiamo il nostro cammino sotterraneo in una residenza privata che fu il centro della vita culturale cittadina del ‘900.
Villa Amendola è una dimora borghese costruita nella seconda metà del XVIII secolo per volere di Domenico Pelosi, amministratore della città di Avellino e ricco proprietario terriero.
Durante il periodo napoleonico, all’indomani dell’8 agosto 1806, quando Avellino verrà elevata a capoluogo di provincia, la villa diviene dimora di un giovane Capitano della guardia reale napoleonica, Luigi Horto che vi si trasferisce dopo avere sposato Aurelia Pelosi, figlia del proprietario.
In questo periodo frequentatori della villa, ospiti del Capitano Horto e di sua moglie Aurelia, sono il colonnello Léopold Sigisbert Hugo, padre dello scrittore Victor, il primo Intendente di Avellino Capoluogo di Provincia, Giacomo Mazas, e il notaio e patriota Giacinto Greco.
Ma sarà soltanto negli anni ’30 del XX secolo che la residenza raggiungerà tutto il suo splendore grazie alla figura poliedrica e carismatica di Francesco Amendola, figlio di Francesca Federici che, in seconde nozze, aveva sposato Gennaro Farini, discendente dell’originario proprietario della villa Domenico Pelosi.
Sindaco di Avellino dal1947 al 1952, Francesco Amendola ribattezzò la dimora, per l’appunto, “Villa Amendola” e ne fece un vero e proprio cenacolo culturale per i maggiori intellettuali irpini del tempo: tra i suoi assidui frequentatori ricordiamo il filosofo Benedetto Croce, il commediografo Roberto Bracco, il meridionalista Guido Dorso, l’avvocato Alfonso Carpentieri e gli storici Vincenzo Cannaviello, Francesco Scandone e Salvatore Pescatori.
Il complesso, acquisito nel 2003 dai beni dell’Amministrazione Comunale, dal 2014 è sede del Museo Civico di Avellino.
Le Grotte di Villa Amendola sono parte integrante dell’impianto originario della maestosa struttura settecentesca. Tuttavia, secondo alcuni storici, per le cavità sotterranee non è da escludere una datazione di molto precedente rispetto all’edificazione della Villa stessa e dell’annesso parco e quindi connessa all’assetto sotterraneo del centro storico.
Ad ogni modo, ciò che è noto è che furono adibite prima alla conservazione delle derrate alimentari e poi furono usate come riparo – sia dalla famiglia Amendola che dalla popolazione avellinese – durante il violento bombardamento aereo che interessò la città di Avellino il 14 settembre del 1943.
DA SAPERE
Le visite guidate avranno una durata di 2 ore e saranno condotte da Guide turistiche abilitate.