Sei un amante dei viaggi alla ricerca di un’esperienza artistica, enogastronomica e culturale unica in Campania? Visitare Avellino è quello che fa per te!
Un cuore “green” che pulsa tra le città metropolitane di Napoli e Bari. Anello di congiunzione tra due mari: il Tirreno e l’Adriatico. Centro nevralgico delle Aree interne. Porta di accesso per la verde Irpinia. Avellino è una tappa imprescindibile per chi vuole rigenerare mente e corpo e lanciarsi in una esperienza fuori dagli schemi, lontana dalla routine e dal frastuono quotidiani, alla scoperta di un luogo dove storia, tradizioni, eccellenze enogastronomiche e buon vivere si fondono in un nuovo concetto di turismo, sostenibile e coinvolgente.
Per il vostro soggiorno ad Avellino, vi suggeriamo una top 7 dei luoghi imperdibili della città!
– La Fontana di Bellerofonte –
Detta anche dei “tre cannuoli”, di Costantinopoli o dei Caracciolo, la fontana di Bellerofonte deve il suo nome all’omonimo eroe mitologico greco la cui statua troneggiava nella nicchia centrale.
L’opera, commissionata nel 1669 dal principe Francesco Marino Caracciolo a Cosimo Fanzago con l’intento di abbellire un pre-esistente abbeveratoio pubblico collocato in un punto strategico della vita cittadina, si compone di tre parti scandite dall’alternarsi di semicolonne. Il corpo centrale presenta la statua di Bellerofonte nell’atto di uccidere la Chimera, mentre le due parti laterali sono divise in due ordini di nicchie. Le più grandi, inferiori, con statue in marmo poste su appositi piedistalli e quelle superiori con busti di un patrizio e una matrona romana, forse provenienti dall’antica Abellinum.
La particolarità della fonte risiede nelle tre bocche poste in basso, i cosiddetti tre cannuóli, da cui fuoriesce l’acqua proveniente dal monte Partenio. La fontana è infine sormontata da due lapidi. La prima, datata 1669, ne ricorda la costruzione mentre la seconda si riferisce all’opera di restauro voluta dall’amministrazione di Avellino nel 1866. Oggi, parte delle statue sono conservate nel Museo civico di Villa Amendola.
– Fontana Tecta –
La Fontana Tecta, detta anche di Grimoaldo, è collocata lungo la via Salernitana, nel Borgo di Sant’Antonio Abate, antico e una volta popoloso quartiere sviluppatosi a ridosso delle mura di Avellino e ai piedi della Collina della Terra.
Qui abitava la parte più povera della città essendo questo un rione particolarmente esposto a pericoli di allagamenti, sia per la sua collocazione geografica affossata rispetto al resto della struttura urbana, sia per la fatiscenza e la precarietà delle sue abitazioni.
In un documento dell’Abbazia di Montevergine risalente al dicembre 1138, viene citata come “Fontana di Grimoaldo”, in riferimento al nome del ricco signore, probabilmente di una importante famiglia longobarda del tempo, che ne aveva trasformato l’aspetto e la funzione, modificando un comune abbeveratoio in un luogo di ristoro per i tanti viandanti che arrivavano qui da Salerno e per i numerosi pellegrini che si recavano al monastero Benedettino di San Leonardo, dipendente dalla potente e prestigiosa Badia di Cava dei Tirreni.
La fontana, pertanto, è stata per secoli testimone della vita della città di Avellino e per la sua strategica importanza fu più volte restaurata e ornata di elementi artistici. Il più importante è quello del XVII secolo, quando alla struttura originaria furono aggiunti di due lavatoi, alimentati dalle acque del torrente Fenestrelle, che, grazie all’ultimo restauro del 2017 sono perfettamente visibili ancora oggi.
– I Cunicoli Longobardi –
Sotto case, edifici religiosi, piazze, vicoli e strade del Centro storico di Avellino si dirama un dedalo di ampie gallerie create nei secoli per estrarre pietre e materiali da costruzione. Un sistema ipogeo di camminamenti scavati nel banco tufaceo della Collina della Terra che in superficie collega metaforicamente i simboli maggiormente identitari della città: sono i Cunicoli longobardi
I “Cunicoli” ci raccontano di una città medievale che cerca di difendersi dagli attacchi esterni e mira a rafforzare i punti chiave del suo assetto urbano. La loro importante funzione strategica poneva in diretto collegamento l’area de La Terra con la cerchia muraria fiancheggiante la Porta Maggiore, assicurando in tal modo il rapido afflusso di rinforzi a difesa della Rocca dell’antica Avellino longobarda ed altresì una sicura via di ritirata in caso di sconfitta.
Era essenziale, quindi, che questi camminamenti fossero dotati in alcuni punti di un sistema di scale, non solo intagliate a gradoni nella roccia ma anche ad essa semplicemente addossate, di materiale artificiale e ligneo. Nella parte terminale, il sistema di gallerie sotterranee sbucava in una rampa, dalla quale, superando un dislivello di circa 11 metri, si raggiungeva rapidamente l’interno della città.
Non stupisce, quindi, che i Cunicoli Longobardi siano stati utilizzati nel corso della storia cittadina per fronteggiare situazioni di alto rischio: nel 1656, a seguito dell’epidemia di peste che colpì la città, il principe Francesco Marino Caracciolo dispose che i malati terminali fossero condotti nei camminamenti sotterranei affinché si potesse contenere il diffondersi del morbo. Infine, gli ultimi testimoni diretti dei bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale narrano di corridoi sotterranei utilizzati come rifugi per scampare a quei tragici momenti che segnarono la vita avellinese del settembre 1943.
– Il Casino del Principe –
Il Casino del Principe, situato ai piedi della Collina della Terra, lungo corso Umberto I, asse storico della città di Avellino verso est, è una delle architetture che meglio testimonia la presenza e l’influenza dei principi Caracciolo nel capoluogo. Risalente con buona probabilità alla fine del Cinquecento, fu realizzato per volontà del principe Camillo Caracciolo come punto d’accesso a un sontuoso parco retrostante, quello che oggi è il quartiere di Rione Parco, che, ricco di alberi, piante e fiori esotici, era il luogo ideale per la caccia e lo svago della nobiltà napoletana ormai insediatasi ad Avellino.
Successivamente, l’edificio fu riconvertita in taverna e foresteria per i viaggiatori provenienti da Napoli e diretti verso la Puglia. Oggi il Casino è strutturato su due livelli, con una corte interna a pianta quadrata e aperture laterali che conducono al piano superiore. In posizione prospettica rispetto al portale principale, è collocata una fonte abbeveratoio che si eleva su un basamento in pietra lavica e che, anticamente, era posizionata all’esterno della struttura.
Nel cuore del Casino sorge la sala ipogeo, una piscina-teatro sotterranea che serviva ai Caracciolo sia come luogo di fuga (addirittura collegato con i cunicoli longobardi) sia come sala di piacere e di ristoro dopo le sedute di caccia. La sala era dotata di un sistema idraulico all’avanguardia ricavato da una preesistente cisterna di un acquedotto romano. L’essenziale impianto tufaceo, oggi come allora, si contrappone agli elementi decorativi emergenti come la fontana a parete, il cui incavo absidale accoglie due figure statuarie, una maschile ed una femminile. Inoltre gli stucchi del soffitto con motivi di spugne e conchiglie ricordano quelli della cripta del Duomo.
Ecco una descrizione dello storico del XVII secolo Scipione Bellabona: “… magnificò (il principe Camillo) questa città: vi fè lo barco per la caccia dei cervi e altri animali, e un giardino artificiosamente lavorato, abbondante di acque, fatte venire per acquedotti da diverse lontane parti, ove di diverse maniere compartite si veggon varie fontane, che con belli ed ingegnosi artificij mandano fuori continuamente acque copiosissime, non senza diletto e meraviglia insieme di chi le mira e vagheggia…”
IPOGEO DI CASINA DEL PRINCIPE
Ora come allora, nel cuore del Casino sorge la sala ipogeo, una piscina-teatro sotterranea che serviva ai Caracciolo sia come luogo di fuga, visto i suoi collegamenti diretti con i cunicoli longobardi, sia come sala di piacere e di ristoro da utilizzare dopo le lunghe battute di caccia al cervo. La sala era dotata di un sistema idraulico all’avanguardia ricavato da una preesistente cisterna dell’antico acquedotto romano che non faceva mai mancare l’acqua al suo interno.
L’essenziale impianto tufaceo si contrappone agli elementi decorativi emergenti come la fontana a parete, il cui incavo absidale accoglie due figure statuarie, una maschile ed una femminile. Inoltre gli stucchi del soffitto con motivi di spugne e conchiglie ricordano quelli della cripta del Duomo.
– Piazza Amendola e la Dogana dei grani –
Sull’antica strada del grano che metteva in connessione uomini e merci tra Napoli e la Puglia, la Dogana dei Grani era il centro nevralgico e uno dei principali simboli di Avellino.
Nato in età medievale come avamposto dedito allo smistamento di cereali e legumi, lo storico edificio sorgeva in quella che veniva considerata da tutti la piazza Centrale della città. E in quel crocevia di scambi e di profumi, la Dogana ha sempre svolto il ruolo di “borsa” del grano. Qui, infatti, venivano fissati i prezzi delle materie prime e venivano risolte le questioni prettamente fiscali legate alla loro commercializzazione.
Nella seconda metà del ‘600, Francesco Marino Caracciolo, quarto principe di Avellino, commissionò all’archistar del tempo, Cosimo Fanzago, il restauro dell’edificio che acquisì, così, una nuova veste proprio a voler simboleggiare il grande potere della famiglia napoletana in terra d’Irpinia.
Il progetto si soffermò principalmente sul rifacimento della facciata che fu concepita come una quinta scenografica. Suddivisa in due piani, la Dogana si arricchì, in quello inferiore, dei caratteristici cinque archi che ammiriamo ancora oggi e di due statue (Diana ed Efebo). In quello superiore, invece, furono installati quattro busti, quelli di Augusto, Adriano, Pericle e Antonino nonché altre due statue raffiguranti Venere e Marino II Caracciolo. L’attico, infine, presentava altri brani decorativi, disposti sempre in modo rigorosamente simmetrico tra cui emergevano soprattutto due statue: un Apollo e una Niobide, provenienti dall’antica Abellinum.
Nel corso del XIX secolo, l’abolizione del sistema feudale (1806) e la decisione di trasferire altrove l’attività della Dogana segnarono l’inevitabile declino della struttura. Acquistato da privati agli inizi del XX secolo, lo stabile fu adibito a sala cinematografica, prendendo il nome di Cinema Umberto, fino al 1992, anno in cui un incendio ne devastò la struttura, lasciando in piedi solo la facciata monumentale e le mura perimetrali. Oggi, questo edificio, ricco di storia e di fascino, è oggetto di un intervento di restauro conservativo che mira a riportare la Dogana al suo antico splendore.
– Villa Amendola –
Dimora borghese costruita nella seconda metà del XVIII secolo per volere di Domenico Pelosi, amministratore della città di Avellino e ricco proprietario terriero, durante il periodo napoleonico, quando Avellino verrà elevata a capoluogo di provincia, diviene dimora di un giovane Capitano della guardia reale napoleonica, Luigi Horto che vi si trasferisce dopo avere sposato Aurelia, figlia del proprietario. In questo periodo frequentatori della villa sono il colonnello Léopold Sigisbert Hugo, padre dello scrittore Victor, il primo Intendente di Avellino Capoluogo di Provincia, Giacomo Mazas, e il notaio e patriota Giacinto Greco.
Ma sarà soltanto negli anni ’30 del XX secolo che la residenza raggiungerà tutto il suo splendore grazie alla figura poliedrica e carismatica di Francesco Amendola, figlio di Francesca Federici che, in seconde nozze, aveva sposato Gennaro Farini, discendente dell’originario proprietario della villa.
Sindaco di Avellino dal 1947 al 1952, Francesco Amendola ribattezzò la dimora, per l’appunto, “Villa Amendola” e ne fece un vero e proprio cenacolo culturale per i maggiori intellettuali irpini del tempo: tra i suoi assidui frequentatori ricordiamo il filosofo Benedetto Croce, il commediografo Roberto Bracco, il meridionalista Guido Dorso, l’avvocato Alfonso Carpentieri e gli storici Vincenzo Cannaviello, Francesco Scandone e Salvatore Pescatori.
LE GROTTE DI VILLA AMENDOLA
Grotte di Villa Amendola sono parte integrante dell’impianto originario della maestosa struttura settecentesca. Tuttavia, secondo alcuni storici, per le cavità sotterranee non è da escludere una datazione di molto precedente rispetto all’edificazione della Villa stessa e dell’annesso parco e quindi connessa all’assetto sotterraneo del centro storico.
Ad ogni modo, ciò che è noto è che furono adibite prima alla conservazione delle derrate alimentari e poi furono usate come riparo – sia dalla famiglia Amendola che dalla popolazione avellinese – durante il violento bombardamento aereo che interessò la città di Avellino il 14 settembre del 1943.
– Il Duomo di Avellino –
Situato nel punto più alto della collina “La Terra”, il Duomo di Avellino è il fulcro della vita religiosa del capoluogo irpino ed è dedicato a Santa Maria Assunta in Cielo e ai Santi Modestino, Fiorentino e Flaviano, patroni della città. La Chiesa Cattedrale fu fatta costruire nel 1132 dal vescovo Roberto e nel corso di quasi 900 anni è stata più volte danneggiata da terremoti ed eventi bellici che ne hanno richiesto numerosi interventi di restauro ed ampliamento.
Fino alla fine del XVII secolo era ancora in stile romanico; nel ‘700 furono realizzati i soffitti a cassettoni con quadri di Michele Ricciardi. Nella seconda metà del XIX secolo il vescovo Francesco Gallo commissionò una grande riqualificazione che trasformò lo stile della cattedrale da romanico in neoclassico.
La facciata che possiamo ammirare ancora oggi, in marmi bianchi e grigi, alabastro e basalto, fu realizzata dall’architetto Pasquale Cardola nel 1860. Accanto al portale principale vi sono due nicchie contenenti a sinistra la statua di San Modestino da Antiochia e, a destra, quella di San Guglielmo da Vercelli, patrono d’Irpinia. L’architettura della facciata termina con il timpano in cui troneggia la figura di un triangolo al cui interno è inscritto un cerchio raggiante: l’occhio del Dio Redentore.
Le tre porte in bronzo cesellato a mano, realizzate dallo scultore avellinese Giovanni Sica, sono di notevole interesse. Quella centrale, in particolare, dove vengono raffigurate alcune scene della storia religiosa e civile di Avellino, come i bombardamenti del settembre del ’43 e il terremoto del 1980.
Il campanile, che sorge sul lato destro della cattedrale, di forma quadrata, è stato eseguito in epoche diverse come si evince dalla base, strutturata con parti di edifici romani del I secolo a.C., in cui si scorgono figure togate probabilmente risalenti a stele funerarie. Nel ‘700, poi, la struttura fu sopraelevata con l’installazione di una cupola a cipolla.
L’interno del Duomo è a croce latina a tre navate. Quelle laterali hanno complessivamente 5 cappelle per lato. Di particolare importanza nella navata destra quella di San Gerardo, con l’altare proveniente dalla distrutta Chiesa del “Carminiello”, la terza, che contiene un dipinto della fine del ‘500 raffigurante l’Adorazione dei Magi di Marco Pino da Siena, e l’ultima, che conserva un reliquiario della Sacra Spina della Corona di Gesù, donato alla Cattedrale di Avellino da Carlo I d’Angiò. Nella navata sinistra, invece, è da segnalare la terza cappella che custodisce il famoso simulacro ligneo di Nicola Fumo raffigurante l’Assunta, effigie portata in processione il 15 agosto. Nella navata centrale, infine, il pregevole soffitto a cassettoni ligneo fa da cornice al dipinto di Michele Ricciardi raffigurante l’Assunzione in Cielo della Beata Vergine Maria.
Anche il transetto presenta due cappelle laterali: quella di sinistra è la “Cappella del Tesoro di San Modestino”, con la statua argentea del Santo contenente le sue reliquie, scolpita dal Vaccaro, e i due reliquiari in argento che conservano i resti mortali di San Fiorentino e Flaviano e di altri martiri. Nella “Cappella della Santissima Trinità”, a destra, sorge, invece, l’antico altare con bassorilievo raffigurante, appunto, la Trinità di Gian Domenico D’Aura ed Annibale Caccavello, realizzato nella seconda metà del ‘500. Di particolare interesse artistico, sempre nel transetto, sono le tele di Achille Iovine che rappresentano “il martirio di San Lorenzo” e la “Sacra famiglia”.
L’abside, infine, impreziosita dagli stucchi dorati della volta e dai marmi policromi dell’altare, presenta il tabernacolo barocco realizzato da Cosimo Fanzago e un coro ligneo del ‘500.
LA CRIPTA ROMANICA DEL DUOMO
Edificata intorno al VI secolo d.C. e conosciuta anche con il nome di Cripta della Madonna dei Sette Dolori, è una perla in stile romanico incastonata nel sottosuolo della città.
Suddivisa in tre navate, scandite da 14 colonne di pietra tutte diverse tra loro e arricchite da capitelli unici realizzati riutilizzando materiali provenienti da edifici paleocristiani precedenti, secondo alcuni storici era originariamente la cattedrale della “Civitas Abellini Longobarda”. La bellezza e la solennità di queste mura, il 27 settembre del 1130, divennero il teatro della solenne incoronazione di Ruggiero d’Altavilla re di Napoli, di Sicilia e di Calabria e duca di Puglia per mano dell’Antipapa Anacleto II.
Oggi, nella cripta del Duomo, riposano le salme di alcuni dei più importanti vescovi di Avellino e, attraverso un vano ipogeo scavato nel tufo, a cui si accede con una scala a chiocciola, si possono visitare i caratteristici sedili scolatoi che servivano come luogo di sepoltura dei confratelli della Madonna dei Sette Dolori, realizzati anche grazie all’intervento della principessa Antonia Spinola, come ricorda una lapide del 1714. È proprio in quegli anni che fu aperto un accesso sulla strada che da quel momento venne ribattezzata via dei Sette dolori. Il settecentesco soffitto con decorazioni a stucco e dipinti raffiguranti la vita di San Modestino è, invece, opera del pittore Michele Ricciardi.